Domenica 25 maggio, il Teatro Selinus di Castelvetrano ha ospitato “Mèdéa, arcana opera in canto”, un’opera scritta e diretta da Giacomo Bonagiuso. Dopo un decennio, il maestro torna a calcare le scene di questo teatro con una riscrittura della Medea di Euripide, reinterpretata in siciliano arcaico e interamente cantata.
L’ambientazione risorgimentale riflette l’anelito di Medea, una siciliana che, travolta dall’amore per un ufficiale garibaldino, abbandona le sue radici – terra, cielo, lingua e canto – per confrontarsi con nuovi orizzonti. Questo sradicamento diventa il fulcro della narrazione, mettendo in luce la complessità del viaggio emotivo e culturale della protagonista.
L’opera si distingue per la sua natura cantata, una scelta che rende omaggio alla tradizione tragica greca – che era intrinsecamente musicale – e serve a sottolineare lo scontro linguistico tra Medea e Giasone. Qui si riflette una tensione tra le ragioni di Gorgia e quelle di Carlo Martello: la musica a canone di matrice d’Oc e d’Oil si scontra con la tamurriata meridionale, creando un tessuto sonoro ricco.
La dialettica tra Medea e Giasone è irrisolvibile; diventa così pretesto per un conflitto che trascende il semplice confronto tra i due personaggi. È uno scontro di lingue e canti, dove ogni nota risuona come un’eco delle tradizioni che si intrecciano. La regia di Bonagiuso riesce a catturare questa complessità, immergendo il pubblico in una riflessione su identità e appartenenza.
“Mèdéa” è un invito a esplorare le sfumature del nostro passato culturale attraverso una lente contemporanea. In questo modo, Bonagiuso celebra Euripide e crea un ponte tra epoche diverse, rendendo l’opera accessibile per il pubblico moderno.
Stefano Caruso


