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S.O.S. RISERVA NATURALE ORIENTATA FIUME DEL BELICE E DUNE LIMITROFE : UN ANGOLO DI PARADISO DA SALVARE

C’era una volta la Riserva Naturale Orientata (RNO) foce del fiume Belìce e dune limitrofe, un’area
naturale protetta, istituita con Decreto Assessoriale della Regione Siciliana il 30 maggio 1987 con
l’obiettivo principale di tutelare le dune e la vegetazione costiera scampata all’abusivismo edilizio
che ha devastato parti limitrofe. La riserva, di oltre 240 ettari gestita dalla provincia di Trapani, si
estende per oltre 5Km sulla costa meridionale della Sicilia ed è bagnata dal Canale di Sicilia, tra
Marinella di Selinunte e il promontorio di Porto Palo, all’interno è delimitata dalla linea ferroviaria
Castelvetrano-Sciacca, sospesa dal 1986. Un ponte in ferro, ancora esistente e meta di turisti e
“indigeni”, “scavalca” il fiume Belìce che attraversa la riserva e dopo un percorso quasi rettilineo di
77 km si getta nel mare.
La “Riserva” era un’ oasi “rifugio” di splendidi animali autoctoni, alcuni stanziali ed altri migratori,
come il martin pescatore, l’airone cenerino, il fratino, la folaga, la gallinella d’acqua, il gabbiano,
l’anatra, la ghiandaia, il cuculo, ma anche invertebrati come molluschi bivalvi (vongole e telline) che
popolavano il mare o la battigia; il ramarro, la lucertola, la biscia dal collare e, sulle alte dune
sabbiose create dal vento e dalle onde del mare, ci si imbatteva su grilli e cicale, coleotteri e scarabei
e periodicamente anche tartarughe marine “Caretta caretta” che nidificando sulla spiaggia riempivano
di meraviglia gli occhi dei tanti visitatori (turisti e bagnanti) che incuriositi entravano nella riserva.
Gli animali vivevano in un habitat ricco di flora, come il giglio di mare ( Pancratium maritimum) , la
canna ( Arundo donax), il giunco, lo zigolo, il ravastello (Cakile maritima), l’acacia, l’erba medica
marina, la scilla marittima, il tamericio e il papavero cornuto (Glaucium flavum), che oltre a fissare
le dune ed impedire ai venti di “straviarle” e fare avanzare la sabbia verso l’interno, dove la macchia
mediterranea con le sue piante tipiche, come l’olivastro, il lentisco, l’euforbia arborea, il cappero, l’
asparago spinoso, il carrubo, la palma nana, aveva il compito di “aromatizzare“ l’aria e renderla più
salubre, donando pace e gioia a quanti entravano nella “zona protetta”.
Oggi, purtroppo, a causa dell’”incuria” della riserva e ai “maldestri” visitatori, che deturpano
l’ambiente con l’abbandono di sacchetti di immondizia, (che “ristagna“ per giorni o mesi malgrado
sia sotto gli occhi di tutti, impiegati del Libero Consorzio Comunale di Trapani, normali cittadini e
operatori ecologici), o altro, gran parte di questi tesori sono andati perduti e passeggiando all’ interno
della riserva “devastata” è possibile sentire il frinire delle cicale che cantano la “vergogna”, di un’area,
designata per la protezione dell’ambiente , della flora e della fauna attraverso attività umane non
lecite, che malgrado i cartelli posizionati all’ingresso dell’area protetta e sparsi ovunque, non viene
controllata e protetta, ma viene presa d’ “assalto” da continue azioni deplorevoli.
Alcuni animali come il fratino, la folaga, la ghiandaia e il cuculo si sono “spostati” in posti più sicuri
e lontani dell’ area “protetta”. Tutti gli altri sono “spariti” come la biscia dal collare, la tartaruga
marina “Caretta caretta”. Addirittura lo ”scarabeo” si è estinto, nel giro di qualche anno, perché non
ha trovato cibo idoneo per vivere. Restano solo, e si deve essere fortunati ad incontrarli, gabbiani
solitari che riposano sui rari scogli a fior d’acqua, in attesa di qualche pesce “suicida”.
Il fiume gravemente inquinato, come le zone adiacenti le sponde, non è più un habitat favorevole per
pesci di acqua dolce e pesci di acqua salmastra. Il Belìce, per un breve tempo fino allo scorso anno,
è stato il luogo ideale, dei “granchi blu”, una specie aliena di crostacei invasiva e onnivora che ha
completato “l’opera” cibandosi degli avannotti del fiume, oggi è fiume anadromo.
Entrando nella “riserva”, barcamenandosi tra arbusti secchi ed alberi “crollati” per gli agenti
atmosferici, per malattie, per difetti morfologici (chiome sbilanciate), per “azioni umane” ( potature errate), per senescenza, possiamo trovare solo la “canna domestica” vicino alle sponde del fiume o in
prossimità di lanche o “vagnateddi” (specchi d’acqua create dal fiume). E’ altresì, facile intravedere,
per un occhio “clinico”, piccoli raggruppamenti di “giunco” sulla spiaggia ancora “semi-deserta”; il
“tamericio”; l’”olivastro”; il “lentisco”; l’ “asparago spinoso”; il “Pancratium maritimum o giglio di
mare, dal profumo intenso e persistente percepibile durante le notti estive senza vento. Le altre piante
sono “scomparse” in maniera naturale o per incendi dolosi.
La riserva, patrimonio naturalistico e ambientale abbandonato da tempo, versa in miserrime
condizioni, come ebbe a dire, circa dieci anni fa, il preside Francesco Fiordaliso in un suo intervento.
Da allora il totale silenzio da parte delle istituzioni.
Restano passarelle in legno devastate dal tempo e dall’usura del continuo passaggio di bagnanti
“focosi” in cerca di “specchi d’acqua” in grado di calmare la calura e non certo “colmare” l’ignoranza.
Intanto, a pochi passi da loro muoiono i pesci , fuggono gli uccelli impauriti dal rumore e le piante
lentamente declinano sparendo nel nulla per mano dell’Homo Sapien fruitore dell’area naturale, ma
anche devastatore e distruttore dell’ambiente- Allora non resta altro che salvare il “salvabile” con
giusti accorgimenti: educando, innanzitutto, le nuove generazioni a salvaguardare l’ambiente;
sensibilizzando il cittadino che la sua vita dipende dalla salvaguardia dell’ambiente; revisionando ad
hoc la legge ambientale; dando adeguata manutenzione al sito; facendo controlli assidui del territorio
“circoscritto”, con unità cinofili e/o “droni” silenziosi; denunciando reati contro l’ambiente;
costruendo torrette di avvistamento; ampliando il numero degli operatori specializzati nel settore
assunti tramite pubblici concorsi per esami e titoli. Inoltre, l’ osservazione e il rispetto delle leggi
della natura e la presenza assidua di una figura di riferimento, per la gestione e il controllo del sito,
al posto dell’ex direttore della riserva andato in quiescenza, potrà essere una prerogativa a migliorare
e perché no a salvare ciò che è ancora adesso è possibile salvare e…. che Dio ce la mandi buona!
Giovanna La Rosa